Si sono spese tante parole sul Cie di Brindisi, l’unico in Puglia ancora attivo nella detenzione ed espulsione di immigrati prelevati dai blitz di polizia nelle città del nord Italia, o qui trasferiti dopo aver scontato una pena in carcere. Pene che trovano continuità in questo lager dell’accoglienza, dove la funzione di controllo su chi è etichettato come irregolare e senza documenti induce i reclusi alla rivolta distruttiva di questi centri nel migliore dei casi, all’annichilimento di sè nel peggiore.
Tramite contatti telefonici con i reclusi nel Cie, abbiamo appreso che un detenuto egiziano in attesa di permesso di soggiorno da 6 mesi ha tentato di suicidarsi stringendosi un lenzuolo intorno al collo. Un atto esasperato per dare fine all’avvilimento quotidiano che quel lager esercita sulle vite dei reclusi. La direzione del centro ha reagito con l’intervento di questurini e guardie di finanza per fermarlo.
Chi dirige luoghi come un Cie ha una grande vocazione ad avvilire i corpi e le menti delle vite, costringendoli a rinunciare alla propria libertà prima ancora di indurli al suicidio. Sempre secondo testimonianze di altri detenuti, il recluso preferiva essere espulso piuttosto che rimanere prigioniero nel lager gestito dalla Cooperativa Auxilium.
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