Lecce – Volantinaggio e brevi interventi in piazza Sant’Oronzo su Tap e i processi contro 90 imputati

Ieri sera in una decina si è scelto di scendere per le vie del centro di Lecce per dire la propria rispetto alla conclusione dei lavori di Tap , annunciata già dallo scorso novembre, le promesse dei ristori di Stato e multinazionale ai comuni coinvolti nell’opera e, infine, i tre processi contro 90 no tap che si sono opposti in una lotta quotidiana per fermare i lavori del gasdotto da Melendugno a Lecce. 

Per questi motivi è stato distribuito un volantino per le vie del centro, successivamente si è  affisso uno striscione in piazza Sant’Oronzo e un paio di interventi sono stati megafonati tra i passanti in centro.  Tutto procede bene per i primi dieci minuti, fino a quando agenti digos affiancati da quelli delle volanti si sono avvicinati al gruppo circondandolo, per riportare il silenzio in piazza e fermare l’iniziativa, chiedendo documenti e minacciando di portare in questura chi si fosse rifiutato.  Dopo alcuni minuti concitati, Il gruppo si è così trovato costretto a spostarsi.

Dato il clima da occupazione  militare sull’onda della pandemia da covid19, è importante scendere in strada e non lasciarla in mano al controllo e al terrore che la polizia instaura godendo dello stato d’emergenza.  Sono gli stessi metodi di militarizzazione e repressione con cui Tap è arrivata fin qui.

Che si tratti di opere di interesse strategico nazionale o dello stato d’emergenza, la questione è sempre riconoscere la responsabilità di Stato e multinazionali in stragi e devastazione.

Qui il testo del volantino diffuso in piazza

SULLA VIOLENZA DI CUI CI ACCUSANO
E LA DEVASTAZIONE CHE AVANZA

Dallo scorso 11 settembre tre processi hanno avuto inizio contro 90 imputati, per aver manifestato
ed essersi opposti contro la realizzazione del gasdotto Tap in più occasioni.
I capi d’imputazione sono violenza, resistenza, danneggiamento, oltraggio, violazione
dell’ordinanza “zona rossa” e numerose violazioni di fogli di via da Lecce e Melendugno.
Accuse che illustrano un siparietto criminoso fatto di scaramucce tra dispettosi manifestanti e tutori
dell’ordine. Egocentrismo e permalosità di alcune eminenze della digos leccese fanno il punto di
forza delle testimonianze, riducendo la lotta contro una multinazionale del gas a un attacco
personale da parte dei novanta chiamati a giudizio.
Questa narrazione sbirresca su cui si regge l’accusa è avallata, senza vergogna per il patetico, da un
volto noto della magistratura locale, celebre per le passate imprese contro la sacra corona unita, che
ora vuole farsi giustiziere contro chi ha lottato contro la devastazione.
La violenza di cui vogliamo parlare ora, è quella di chi ha imposto un’opera con la più becera e
costosa mobilitazione di polizia che lo stato abbia mai dispiegato nel Salento, diventato grazie a
Tap un banco di prova di militarizzazione quotidiana.

Chilometri di gasdotti e di barriere “anti-immigrati” percorrono lo stesso binario, dal confine greco-
turco all’Europa occidentale. L’intreccio tra le politiche di guerra, le migrazioni che ne conseguono

e mercato estrattivista lungo il Corridoio Sud del gas è stato un argomento diffuso dalle campagne
alle piazze di tutto il Salento e non solo.
Dal 2017, il governo Minniti ha rafforzato l’apparato securitario dello stato per militarizzare le città,
rafforzare la macchina delle frontiere e proteggere gli interessi economici di colossi come Eni,
Snam e, appunto, Tap.
Fino ad oggi la falsariga del governo è sempre la stessa. Con la Turchia, l’Italia continua a trattare
non solo in fonti di energia, ma anche in armi e guerra. Sono due mercati indissolubili, senza
piombo e sangue il gas fin qui non arriverebbe. L’attualità lo dimostra.
Proprio da un mese si è conclusa una violenta guerra tra Azerbaijan e Armenia nell’area del
Nagorno Karabakh, da anni contesa tra i due stati e ora con la vittoria dell’esercito azero, forte delle
esercitazioni militari e investimenti bellici dalla Turchia.
Acquistando armamenti da mercati europei (soprattutto italiani con Fincantieri e Leonardo), lo stato
turco investe per lo sviluppo militare dello stato azero. Al di là delle ragioni culturali e religiose che
connotano questo scontro storico, aver seminato dolore e morti per la popolazione armena ha
garantito ai regimi di Aliyev ed Erdogan il controllo militare di un territorio importante per
l’accesso ai giacimenti e infrastrutture del gas che arrivano fino all’Italia e alla Libia. Tap si
inserisce in questo scenario.
Chi ha voluto Tap marcia ancora e sparge violenza.
Chi godrà dei suoi “benefici”? Solo le multinazionali partecipanti e le ditte appaltate. Un
bene per pochi, non per noi.
Un “bene essenziale” che non ha visto sosta neanche ai tempi del lockdown.
Un bene più essenziale della nostra salute e di tutte le terapie intensive che si sarebbero
potute finanziare per ogni reparto celere impiegato per Tap.
Fermare la devastazione come quella di Tap in Salento significa contrastare le stragi che lo
stato perpetra ancora, investendo nella guerra, depredando il pianeta, ammazzando nel
mediterraneo, nei carceri e nei cpr.

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