TAP e il Corridoio Meridionale del Gas

A partire dal Tap (Trans Adriatic Pipeline), seguendo il fitto snodarsi delle condotte che trasportano il gas, si disegna, sotto i nostri occhi, la rete di interessi, a volte affini a volte antagonisti, che legano tra loro i diversi paesi imperialisti e le multinazionali del settore. E anche lo svilupparsi dei conflitti che accompagnano lo scontro di tali interessi quando la politica segue la via delle armi.
Infatti, il nuovo gasdotto Tap costituirebbe il terzo e ultimo segmento del Southern Gas Corridor, una via del gas promossa dall’Ue in quanto concorrenziale rispetto ai progetti russi. L’Europa, praticamente priva di risorse, è dipendente dalle importazioni di gas che arrivano dalla Russia quasi per il 70%. Questo cordone ombelicale negli anni si è fatto sempre più soffocante per le classi dominanti europee, sopratutto con lo svilupparsi delle contraddizioni che vedeva man mano sempre più delinearsi l’antagonismo tra Bruxelles e Mosca. Si è fatta, quindi, sempre più impellente l’esigenza di smarcarsi da un’arma di ricatto così efficace e capace di condizionare la politica estera dei paesi dell’Unione Europea.

Il gasdotto transadriatico è uno dei progetti energetici che rientrano nel cosiddetto Corridoio meridionale del gas, definito dalla Commissione Ue “un’iniziativa importante per portare le risorse di gas del Mar Caspio e dell’Asia centrale sui mercati europei”. L’opera parte quindi al confine tra Grecia e Turchia, proseguendo verso ovest il tragitto del Trans Anatolian Pipeline (Tanap), che trasporta il gas naturale dellAzerbaigian. Si snoda quindi in tre paesi, Grecia, Albania e Italia, per oltre 800 chilometri, di cui un centinaio nell’Adriatico. In Italia, il Tap si radica in Salento, nel comune di Melendugno, con un tratto di 8 chilometri sulla terra ferma, mentre la condotta sottomarina nelle acque territoriali italiane misurerà 25 chilometri. Da Melendugno il gasdotto si riallaccia alla rete nazionale di Snam Rete Gas a Mesagne, in provincia di Brindisi, attraverso un altro condotto di 56 km che costruirà Snam stessa. Attraverso quest’ultimo il gas azero verrà distribuito agli altri mercati europei, in particolare in Austria e in Europa centrale.
Secondo quanto descritto nel progetto, il tratto italiano del gasdotto dovrebbe avere una portata di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, con la possibilità di un aumento di portata nel futuro fino a 20 miliardi di metri cubi. Il costruttore è il consorzio svizzero Tap, i cui azionisti sono al 20% la Socar (Azerbaigian), la Bp (Gran Bretagna) e la Snam (Italia), al 19% la Fluxys (Belgio), al 16% Enagas (Spagna) e al 5% Axpo (Svizzera).

Per quanto riguarda la Russia, la sua forza come fornitrice di gas all’Europa sta anche nel tentativo di monopolizzare le vie di rifornimento, sia sulla direttrice orientale (Balcani e Ucraina) sia su quella nordica. Il Nord Stream, inaugurato nel 2011, collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Successivamente, il gas arriva nel centro Europa trasportato dal gasdotto Opal. Attualmente è in fase di realizzazione il progetto Nord Stream 2, che dovrebbe raddoppiare la capacità di questo gasdotto nordico.
Si è delineata così una contraddizione tra gli interessi specifici dell’imperialismo tedesco e quelli complessivamente intesi dell’Unione Europea. Gli interessi tedeschi rispetto a Nord Stream ci fanno meglio comprendere, nella sua complessità e contraddittorietà, la politica della Germania rispetto alla questione ucraina, esplosa negli ultimi anni in maniera sempre più virulenta, come lotta per la ripartizione del paese tra Ue e Usa da una parte e Russia dall’altra. Merkel è stata chiaramente dalla parte dei golpisti di Kiev fin da principio, allineandosi con gli Usa e schierandosi in prima fila nella pressione sulla Russia perché demorda dall’influenza sul paese confinante. Contribuendo ad accendere lo scontro con Mosca sul fronte ucraino, la Germania ha perseguito anche lo specifico interesse di destabilizzare quella via di transito del gas in Europa per rafforzare Nord Stream, il cui raddoppio venne deciso nell’estate del 2015.
E, dopo i recenti scontri tra Trump e Merkel, il Nord Stream è entrato anche nel mirino degli Usa, che lo vedono come un potenziale fattore di unitarietà tra imperialismo russo e imperialismo tedesco. Il senato statunitense, infatti, ha votato nuove sanzioni contro la Russia, che colpiscono anche gli investitori nel progetto Nord Stream 2. Una nuova sfida a Mosca, ma soprattutto un atto di rottura con gli alleati tedeschi.
E, a tal proposito, tornando al Tap, possiamo notare come, pur essendo proclamato come progetto strategico dell’Ue, non vi siano presenti capitali tedeschi, proprio perché la Germania vede con timore la prospettiva che l’Italia diventi una piattaforma per il passaggio del gas dalle regioni del Mediterraneo all’Europa, puntando invece a mantenere il proprio ruolo strategico attraverso il Baltico.
La Russia ha inoltre in cantiere il progetto Turkish Stream che, dopo aver visto una battuta d’arresto, oggi vede una nuova accelerazione. Si tratta di un gasdotto che, partendo dal territorio russo attraverserebbe il Mar Nero arrivando nella Turchia europea e da qui risalirebbe i Balcani, per rifornire l’Europa, ovviamente senza toccare l’Ucraina. Di fatto, il Turkish Stream rappresenta il raddoppio della linea metaniera del Blue Stream ed è la risposta di Mosca al siluramento, da parte di Washington, del South Stream. Quest’ultimo, promosso da Gazprom e da Eni e poi dalla tedesca Wintershall e dalla francese Edf, doveva, aggirando l’Ucraina, portare il gas russo attraverso il Mar Nero, la Bulgaria, la Serbia, l’Ungheria fino a raggiungere la Slovenia, l’Austria e l’Italia. Tale progetto veniva bloccato nel 2014 dalla Bulgaria, su pressione degli Stati Uniti, all’indomani dell’apertura del fronte ucraino.
Il Tap è ideato proprio in antagonismo al Turkish Stream: se in entrambi la Turchia, con annesso l’ingombrante Erdogan, gioca da punto nodale, il primo vuole escludere o quantomeno limitare l’approvvigionamento dalla Russia mentre il secondo lo rafforzerebbe. Così come entrambi, Turkish Stream e Tap, si pongono in competizione e in contraddizione sia con la via ucraina, più caldeggiata dagli Usa, e sia con il Nord Stream, russo-tedesco. Eni, come abbiamo visto con Blue Stream, prova a ritagliarsi la sua fetta anche in campo avverso, stringendo rapporti con una Russia verso la quale l’imperialismo italiano, pur aderendo alle campagne di guerra della Nato, usa sempre opportunistici guanti di velluto. Ma è chiaro d’altra parte che con il gasdotto Tap, l’imperialismo italiano e dunque i monopolisti del cane a sei zampe, puntano ad esercitare un ruolo di punta per l’intera Ue, addirittura alternativo alla Germania. Va detto che il valore strategico del Tap quale fattore di emancipazione europea dal gas russo rischia comunque di essere messo in discussione proprio dall’intesa russo-turca sul Turkish Stream e dall’imprevedibilità di Erdogan, sempre più ostile all’Ue. Cosa succederebbe, infatti, se Ankara decidesse di allacciare il gasdotto Turkish Stream alla linea Tap verso l’Italia, nel caso in cui ad esempio il South Stream balcanico fosse definitivamente affossato? Si tratterebbe, ovviamente, di un pesantissimo smacco per l’Ue, che si ritroverebbe ancor di più accerchiata dalla potenza energetica russa a causa di un progetto ideato per sottrarvisi.
Alla partita poi si aggiunge il progetto East Med, uno o più tubi per portare le risorse di gas dell’est Mediterraneo in Europa, attraverso Cipro e Grecia. Il progetto è stato argomento del vertice tenutosi a Roma i primi di marzo tra il ministro dello sviluppo economico Calenda e il suo omologo israeliano. La volontà da parte sionista di lanciare il progetto dell’hub del gas del Mediterraneo dimostra il cambio di passo nella strategia di Tel Aviv, che mira ad accaparrarsi un ruolo da protagonista, a spese ovviamente dei palestinesi a cui vengono rapinati anche i giacimenti di gas al largo di Gaza, nella partita mediterranea dell’energia, in competizione con l’Egitto, detentore del super giacimento Zohr. Ma anche il Libano reclama la sua parte della torta, tanto che lo scorso gennaio il ministro dell’energia e delle risorse idriche libanese ha annunciato l’approvazione di due decreti per lo sfruttamento delle risorse energetiche specificando rispetto alle risorse contese con Tel Aviv di essere disposto a utilizzare tutti i mezzi a disposizione per difendere i propri diritti sulle risorse. E il fattore del gas naturale non poteva mancare nell’ultimo fronte caldo apertosi in Medio Oriente, quello tra Arabia Saudita e Qatar. La base reale, sul piano economico, delle accuse saudite all’emirato di intelligenza col nemico iraniano è infatti quella dello sfruttamento congiunto, da parte di Doha e Teheran, del più ricco giacimento sottomarino di gas del pianeta, quello del North Dome/South Pars, nel Golfo Persico.
All’interno dell’intricato quadro delineato, l’Italia ha un ruolo sempre più centrale: tendendo a farsi più difficoltose, con lo sviluppo delle contraddizioni interimperialiste, le vie del gas nell’Est Europa, traballando persino quelle settentrionali e visto, infine, il caos libico, il gas dovrà sempre più passare per la porta mediterranea orientale e il Tap va propriamente in tal senso.

[Antitesi n.5, maggio 2018]

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